“LE NUVOLE – PETER RUSSELL”
X EDIZIONE 2011
L’ 08 Ottobre alle ore 10.30 nella Biblioteca Landolfo Caracciolo del Complesso Monumentale di San Lorenzo Maggiore via Tribunali 316, Napoli si terrà la cerimonia conclusiva della X edizione del Premio Letterario “Le Nuvole – Peter Russell” 2011.
Classifica Finale Sezione Poesia in Lingua
1° Tu porti coloro che remano Mario R. Mangiocavallo Vasto
2° Immutabile apparenza Salvatore D’Ambrosio Caserta
3° Stupito era il pietrisco Patrizia Cozzolino Napoli
4° I poeti lo sanno Stefano Peressini Carrara
5° Fiore di vita Maurizio D’Armi L’Aquila
Segnalazioni di merito:
Tristezza Giuseppe Melardi Montebelluna
Velluto di nuvole cupe Maurizio Santopietro Latina
Di quel Belacqua Marcella Ferraro Omegna
Notte Marco Di Pietro Vasto
Preghiera Rolando Giancola Isernia
Classifica Finale Sezione Libro-Silloge
1° Le nuvole non sono bianche Carla Cirillo Benevento
2° Terra rossa Donatella Vinci Padova
3° I petali della notte Giulio Dario Ghezzo Venezia
Classifica Finale Sezione Narrativa
1° L’ultimo anno Lorenzo Marone Napoli
2° L’attesa Giuseppe Gambini Garbagnate Milanese
3° Il calamaio Cristina Nicolosi Trapani
4° Anna Claudio Prili Roma
5° I “Buana”di Lale Mario Relandini Roma
1° Classificato
Sezione Poesia in Lingua
Tu porti coloro che remano
Mario Rolando Mangiocavallo - Vasto
L’infinito è in noi ed è qui per restare attraverso gli infiniti traffici della parola, attraverso i suoi inganni. La Poesia diviene guardinga nei confronti degli agguati della ragione, vigile nei confronti di quella bi-logica o logica bivalente tanto cara ad Ignacio Matte Blanco, ma ad essa tanto riconoscente per la possibilità della comunicazione. “Tu porti coloro che remano” di Mario Mangiocavallo è una splendida sperimentazione di arte poetica perchè rappresenta la modalità bi-logica secondo cui si esprimono i vissuti emozionali divenendo magicamente realtà:l’atto creativo qui si avvale del codice linguistico, solitaria parola, per recuperare lo spazio e il tempo del dolore nella dimensione a-temporale e
a-spaziale dell’essere simmetrico. Diviene così comunicazione quel dolore “che ha un vuoto sconosciuto, immensità taciturna di stelle, come luce ferita… la cui acqua non è dolce nell’abisso del perdono, ma porta coloro che remano verso dimora restituita da un’alba che schiude…”. Il poeta reinvesta la condizione esistenziale suprema del dolore nella morte, attraverso una forma allegorica la cui semantica riconduce all’oggetto linguistico prescelto. Viaggiano così le parole verso le cose e non se ne allontanano in un linguaggio-specchio che le mette sotto una luce acuta e disperata, ma – è questo lo scandalo – non disperativi. Maria Pia De Martino
2° Classificato
Sezione Poesia in Lingua
Immutabile apparenza
Salvatore D’Ambrosio - Caserta
Nell’inestricabile foresta di oscure ipotesi la vita si scinde dalla domanda suprema: è così che rare ed insospettate epifanie stupiscono l’effimero spazio della conoscenza umana. Miracolosa di innumerabilità è l’eterna rivoluzione dei cicli vitali, di vagheggiate stelle orfane di tempo assoluto, dell’assenza che non è mai storia né spazio, ma attesa. Solo che il pensiero a stento trattiene oltre i limiti del tempo relativo e, sconfitto nella sua temerarietà, ritorna nella gronda del finito, come pulsione che riduce tutto a percezione indifferenziata, universo dell’ Apeiron, dell’indistinto e quindi dell’infinito. Maria Pia De Martino
3° Classificato
Sezione Poesia in Lingua
Stupito era il pietrisco
Patrizia Cozzolino - Napoli
Appressandosi sempre più al compimento dell’opera nel tempo, soccorre il pensiero da miracoloso versante del nulla, come agli albori della conoscenza. Sovviene montaliana memoria per un verso nitido di un linguaggio asciutto e fermo che si ricompone nel firmamento di significanza sbocciato dalla primavera dell’essere, ora rischiando la miscredenza dell’attesa delusa. “Stupito era il pietrisco lasciato sul percorso” mentre i ricordi si affrettavano ad accettare quella primavera dell’Essere, ora anche fuori da se stessa. Non agonica memoria solitaria né malinconie deserte, ma destino universale oltre le blasfeme apparenze arbitrarie. Maria Pia De Martino
4° Classificato
Sezione Poesia in Lingua
I poeti lo sanno
Stefano Peressini - Massa
I poeti sanno dei rapporti stabiliti e da stabilirsi tra i segni e le ideologie ad essi sottese, quelli da disordinare volontariamente e il nuovo rapporto da costruire con linguaggio. Sanno del bruciante “logos”, teso atto di comprensione, una voce. Sanno dello straniamento dell’esistibile e che l’urto è provocato senza scintille tra una parola forse innamorata e un ruvido materiale da cui mai ricevono cenni amorosi ma segnali diffidenti. Sanno della sintesi hegeliana tra linguaggio e realtà ma che non c’è ricerca di una verità sepolta sotto le fenomenologie. Sanno i poeti che “non hanno carte truccate né primavere di scorta” per inchiostrare la pagina o per bruciare possibili passaggi che rinviano a quieti componimenti. Essi, i poeti, sanno di percorrere le tragiche fiere dell’infinito a scapito di tranquille riviere. I poeti sanno anche quando è il giorno giusto per andare. Maria Pia De Martino
5° Classificato
Sezione Poesia in Lingua
Fiore di vita
Maurizio D’Armi - L’Aquila
Inutile l’estremo calcolo di differenze dell’universo che non è compiutezza e destino, ma eterno germe d’erbe che nutriremo integralmente, una per una. Un fiore non vuole distinzioni, né rifiuta ciò che avrà ma, verticale alla bellezza, risponde alla luce, a Dio, col colore della sua inerme nudità. Il mondo prende forma come cartografia di destini attorno al fiore, metafora della perfezione e della significanza della vita umana in Dio, dinanzi a cui non ci sono veglie definibili né sonno che non sia misterioso bulbo trapiantato in geografie nuove, in costante bellezza. Maria Pia De Martino
1° Classificato
Sezione Libro - Silloge
Le nuvole non sono bianche
Carla Cirillo - Benevento
Un’ antinomia giocata a due livelli. Un livello linguistico e un livello di significanza ed ognuno dei due lavora ad un diverso da sé: la lingua ad un’altra lingua, la cosa ad altra cosa. Ma due piani che s’intersecano continuamente: è infatti il linguaggio che gestisce e governa la metamorfosi di realtà seconda mediante se stessa. Da ciò proviene il potente effetto di straniamento delle parole e delle immagini nella poesia di Carla Cirillo. “Le nuvole non sono bianche” porta in sé l’ossimoro del vero che non è mai dentro la contraddizione ma in ciò che lascia intendere in una realtà fuori centro ma non decentrata. In ogni poesia della raccolta seguiamo un particolare enorme del reale descritto, mai sfuggendo all’intera immagine del discorso. Il tutto e le parti, sapientemente, attingendo ai miti e ai classici tornano in gioco in questa opera in un rapporto ferratissimo di lingua e visionarietà. Dunque, Poesia si situa verticalmente non come tentativo di sintesi tra linguaggio e realtà, ma come incessante ricerca di un diverso dire un identico reale, secondo uno stile che non percorre itinerari metaforici ma utilizza consistenti metonimie per entrare nelle cose, magari urtandole - mentre le descrive - nella paradossale narrazione di un esistente che riconduce sempre e drammaticamente al soggetto/oggetto, e quindi al Sé.
Maria Pia De Martino
2° Classificato
Sezione Libro - Silloge
Terra rossa
Donatella Vinci - Padova
Un sipario che si apre sull’immagine disegnata nella sua essenziale integrità come ad un grado zero della visione, in cui la dicotomia buio–luce si riduce al minimo esaltando l’effetto di realtà. Come nel sogno, un ripetuto alludere allo sguardo che ne descrive i frammenti nel nitido scenario di un desiderio pensato: è questa la poesia di Donatella Vinci in “Terra rossa”. E’ questa “Terra” infatti il luogo in cui Poesia si costituisce fatalmente come genere e forma ponendosi mise-en-scene di un linguaggio che non determina ma progetta luoghi in cui poi prova a condensarsi. “Terra rossa” è cartografia immaginaria come occasione poetica di un Io non parlato ma agito, onirico e reale al contempo, attraverso un linguaggio che semantizza una significanza altra della parola. Un luogo della poesia diverso dal luogo dello sguardo: lo scrivere di fronte alle immagini come segni contrapposti al reale, attraverso una parola luminescente e rapida in un non-luogo esistibile talmente reale da apparire sognato. Come itinerario drammatico, infine, da lenta decantazione su carta di segni irrimediabilmente poetici. Maria Pia De Martino
1° Classificato
Sezione Narrativa
L’ultimo anno
Lorenzo Marone - Napoli
Una durezza linguistica che allude al rovescio di sé all’oscura frammentazione dei materiali inconsci, esiliandoli e - contemporaneamente – organizzandoli in una scrittura drammatica sincopata che si decostruisce a tratti, fino a rischiare il vuoto. “L’ultimo anno” di Lorenzo Marone è proiezione di un sguardo inchiodato sulla tavola del naufragio dei valori umani in questo tempo drammatico di caduta verticale nel dolore. Sovviene George Orwell che in “1984” profetizzava il Grande Fratello del nulla, metafora agghiacciante dell’uomo del terzo millennio, caduto su se stesso nella tragicità dell’inconsapevole morte al cui compimento egli attende diligentemente ogni giorno. Qualche linea grottesca profila una parola netta e feroce per nudità e completezza, che diviene tutt’uno col narrato in tachicardico divenire, culminando nella speranza finale – auspicabile per necessità – di nuova vita.
Maria Pia De Martino
2° Classificato
Sezione Narrativa
L’attesa
Giuseppe Gambini – Garbagnate Milanese (Mi)
Imprevedibile e mobile è l’orizzonte onirico nel racconto “L’attesa” di Giuseppe Gambini. Del sogno infatti sono presenti tutte le caratteristiche salienti, sul piano stilistico come su quello tematico: la continua metamorfosi di persone, sentimenti e cose tra scarti temporali e spaziali indefiniti seppure affermati. L’aura magica che circonda i protagonisti (il protagonista?) sublima nella condizione che da sempre accompagna la dimensione onirica in letteratura: l’Amore ideale ha come via privilegiata il sogno, qui espresso come adesione al mito fantastico di una Natura innocente contrapposta alla Storia. L’autore plasma abilmente la materia incandescente che emerge dal profondo di ognuno di noi, e attraverso un’operazione linguistica provocatoria per agilità e leggerezza, consente all’Io di recuperare la fisionomia della propria identità, premessa indispensabile per qualsiasi prospettiva di comunicazione con l’altro da sé. L’esperienza caotica e destrutturante della morte è sconfitta dall’Amore, unico principio capace di affrontare criticamente, ordinandola, la realtà e di cifrarne il senso enigmaticamente complesso. Maria Pia De Martino
5° Classificato
Sezione Narrativa
I “Buana” di Lalè
Mario Relandini - Roma
Consapevolezza o pietà di se stessi? Una parola che nasce dal negativo, sgorgando come percepita assenza di se stessa, quasi morendo su carta: è così la parola nel racconto “I Buana di Lalè” di Mario Relandini. Una parola che compone una scrittura breve per una narrazione-cronaca crudelmente attuale. La sofferenza degli immigrati, vittime di se stessi prima che di altri, emarginati in antiche solitudini da contemporanee culture sovversive della libertà e del rispetto, fornisce qui una magnifica occasione per la parola scritta che dimostra quanto essa possa riuscire, se amata, a creare quel raro istante d’amore e verità insieme. Maria Pia De Martino